Risvolti psicologici della Didattica a Distanza
L’epidemia di Coronavirus che si è abbattuta sulla nostra quotidianità ha, prima fermato e poi stravolto la vita scolastica che, come è noto, oggi è tutta basata sulla Didattica a Distanza.
Una nuova modalità di fare scuola, che ha avuto una partenza faticosa, è iniziata dalla scuola secondaria di secondo grado e gradualmente si è diffusa alla secondaria di primo grado, poi alla primaria e in qualche misura alla scuola dell’infanzia.
Su queste trasformazioni si ritiene importante fare alcune riflessioni di carattere psicologico, anche in vista del pensare la cosiddetta “fase 2” e di un ritorno a scuola, che rendano costruttivo questo momento di crisi.
Come noto, ogni stato di crisi costituisce una fase di transizione fra la condizione precedente, non più corrispondente a condizioni e bisogni pregressi, verso nuovi assetti e funzionamenti.
Tale transizione può essere tanto più proficua quanto più la costruzione del nuovo poggia su una accurata rielaborazione di quanto sta accadendo e dei diversi elementi in gioco.
Tornando alla realtà scolastica, va sottolineato il fatto che la didattica a distanza non riguarda solamente aspetti spaziali o fisici ma tocca importanti elementi di carattere affettivo, determinando un massiccio riposizionamento di vissuti e di funzionamenti con ripercussioni molteplici che qui di seguito proviamo ad individuare.
Fra le ripercussioni che potremmo considerare positive vediamo che la preoccupazione del mettere a punto nuove forme di didattica a distanza ha inevitabilmente determinato un ripristino della “centratura sul lavoro”.
Come argomentato nel convegno “Educare facendo” organizzato dal Centro di Psicologia Ulisse nell’ottobre 2019 una delle maggiori complicazioni del lavoro dei docenti aveva a che vedere, in particolare per la scuola dell’obbligo, con l’allagamento emotivo determinato da aspetti dinamici, comportamentali e relazionali con il conseguente rischio di perdere di vista la centralità del lavoro didattico.
Come ci insegna la teorizzazione Bioniana sui gruppi, il perdere di vista la dimensione operativa fa inevitabilmente debordare un funzionamento di carattere affettivo, mentre la gestione della classe e il contenimento delle esondazioni emotive sono favoriti dalla tenuta dell’etero-centratura sul lavoro.
L’assenza di una condivisione quotidiana degli spazi in presenza e la centralità dell’operatività hanno determinato una significativa attenuazione delle dinamiche affettive e delle loro ripercussioni sulla vita della classe, seppur a distanza e con tutti i limiti, la classe mantiene le caratteristiche di gruppo di lavoro.
In tali condizioni, ovviamente, la questione educativa torna pienamente nelle mani della famiglia, restituendole quella titolarità, a volte trascurata e confusa e spesso delegata alla scuola.
Questo elemento, accompagnato dal diradarsi dei contatti e dalla distanza, ha favorito anche una riduzione del conflitto tra genitori e docenti, che è sempre stato un elemento di fondamentale incidenza sulla qualità della vita scolastica.
L’altra faccia della medaglia di questa nuova realtà è costituita da alcuni rischi nei quali incorrono i docenti.
Fra questi troviamo, in assenza di confini spaziali, il rischio di perdere di vista i confini temporali dell’impegno e della preoccupazione per il “da fare”, finendo per occupare ogni momento con il lavoro o con la preoccupazione per esso.
L’accanimento del fare, l’ansia di cimentarsi con un diverso modo di lavorare, soprattutto per chi avesse poca dimestichezza con le tecnologie e il mondo del web, può determinare un’ansia da prestazione che non lascia spazio al “pensare” gli studenti. Mentre è noto come la relazione educativo-formativa necessiti che “l’altro”, lo studente, la classe, sia pensato, anche a distanza.
Inoltre, chi vive come troppo difficile e gravoso l’impegno di apprendere un nuovo modo di fare scuola, rischia di entrare in uno stato di stress emotivo che può determinare stati di demotivazione e di disinvestimento.
In entrambi i casi si perdono di vista gli studenti e, ancor di più, possono finire in ombra coloro che presentano una qualche forma di disagio ed esigenze didattiche particolari come disabilità, DSA e BES.
Infine, in questa nuova realtà lavorativa, i docenti sono penalizzati dallo scarso contributo proveniente dalla valutazione degli apprendimenti e dell’impegno degli studenti, che non può essere né accurata, né affidabile, ed è noto quanto la verifica fornisca feedback preziosi per orientare la didattica.
Alla luce di queste considerazioni riteniamo che la gestione attuale e, soprattutto la riprogettazione dell’attività scolastica in vista del ritorno a scuola, necessitino di una profonda rielaborazione che benefici dell’esperienza del momento nei suoi punti di forza e nelle criticità, consapevoli che anche l’atteggiamento degli studenti sarà cambiato.
18 aprile 2020
Mauro Martinasso
Direttore del Centro di Psicologia Ulisse