𝐸𝑑𝑜𝑎𝑟𝑑𝑜 𝑀𝑎𝑟𝑡𝑖𝑛𝑎𝑠𝑠𝑜 – 𝐷𝑜𝑡𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑖𝑛 𝑆𝑐𝑖𝑒𝑛𝑧𝑒 𝑒 𝑇𝑒𝑐𝑛𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑃𝑠𝑖𝑐𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑐ℎ𝑒
“Devo sentire di poter uscire dalla classe quando non riesco più a sopportare il casino”. Queste sono le parole di Assane, quindicenne iscritto al primo anno di un istituto tecnico. Assane è un ragazzo con notevoli risorse sul piano cognitivo che ciononostante sembra fare il possibile per collezionare insufficienze e note disciplinari, visto e considerato che impiega la maggior parte del tempo a scuola a polemizzare e provocare i compagni e gli insegnanti e a chiedere di poter andare in bagno. I suoi insegnanti dunque sarebbero probabilmente molto stupiti della sua affermazione circa il “casino insopportabile”, essendone Assane il maggiore responsabile: sembra possibile immaginare che dopotutto il “casino” intollerabile non sia associato all’esperienza uditiva del rumore e del baccano, ma a una qualità caotica della sua esperienza interna. Assane stesso ci dà una chiave di lettura del suo vissuto, quando ci dice: “è come se il casino mi entrasse nella testa, e se non mi fanno uscire mi sento braccato e in trappola”. Quella che potrebbe sembrare incapacità di tollerare la frustrazione prende ora le sembianze di una grande sofferenza emotiva: prima di essere uno studente incontenibile Assane è un ragazzo che non è capace di contenere la sua emotività. L’assenza di modalità più adattive di fronteggiare un ambiente che trova difficile lo costringe in una posizione di attacco o fuga, vale a dire di oppositività e di richieste di uscire dalla classe. Andare in bagno non è un’occasione per svagarsi, né un escamotage per sottrarsi a un compito o a una lezione: è la ricerca disperata di uno spazio fisico e mentale dove poter placare quell’emotività divampante che gli rende quasi insopportabile il rimanere in classe come fanno i suoi compagni.
Quali che siano le cause e le caratteristiche (reali e di fantasia) del claustrum da cui Assane sente di dover evadere, un vissuto emotivo di questo tipo è naturalmente un ostacolo importante ai processi di attenzione e apprendimento, che dà il via ad un circolo vizioso di malessere e insuccessi scolastici, i quali a loro volta incrementano le difficoltà emotive. A questo proposito, una teorizzazione di Susan Harter sullo sviluppo del sé accademico evidenzia come il successo in certe attività (e il rifornimento narcisistico che ne deriva) si configuri come potente fonte motivazionale nell’investire in quell’attività, innescando un circolo virtuoso. Al contrario, una storia di ripetuti fallimenti scolastici, quale che ne sia l’origine, porta a sperimentarsi come inferiore agli altri, pigro e incapace, e la scuola stessa (nei suoi aspetti sia reali che fantasmatici) diventa un oggetto interno punitivo da combattere. Può essere utile per chi lavora con questi ragazzi tenere a mente che non sempre i comportamenti chiassosi e oppositivi sono sintomi di disinteresse o sfide aperte all’autorità e al gruppo – classe: qualche volta descrivono uno scenario in cui l’unico modo per zittire il rumore nella testa è amplificare quello nella classe, e che l’utilità di un agito spesso è quella di raccontare qualcosa che non è possibile esprimere a parole.