Effetti della paura sulla scuola
E’ tornata l’emergenza e insieme con le “strette” dell’ultimo DPCM torna a crescere lo stato di allerta, di ansia, di rabbia e di paura. E’ prezioso quindi fermarsi un attimo e provare a pensare alla paura, per non esserne preda.
Quando la scuola a settembre e ricominciata, non aspettavamo altro. Per un attimo abbiamo tirato un sospiro di sollievo, ma adesso abbiamo di nuovo il fiato sospeso. Questo vissuto di precarietà e di sospensione richiede equilibrio, ma la paura quando arriva fa paura.
Pensiamo a come la nostra lingua tratta la paura: avere una paura del diavolo, una paura matta, ce la si fa sotto dalla paura, si può morire di paura, non c’è niente di cui aver paura.
Questi modi di dire ci parlano dei meccanismi di difesa psicologici e dell’effetto che possono avere sulla nostra mente.
– la paura ci fa diventare paranoici: la “paura matta”, che non è matta solo perché si scorge il pericolo dappertutto, ma è matta perché di fondo è come se dovessimo sconfiggere e cancellare il pericolo con i super poteri, illudendoci di poter tenere tutto in modo onnipotente sotto controllo. La paura ci fa diventare folli quando pensiamo di poter eliminare del tutto il pericolo e concentriamo tutti i nostri pensieri e le nostre azioni su quell’obiettivo, e ci dimentichiamo del resto. Si rischia così di dimenticarci del nostro ruolo educativo come adulti, come scuola.
– La paura è matta quando ci fa proiettare fuori di noi i nostri fantasmi, il diavolo. Si dice “avere una paura del diavolo”: si perde il contatto con la realtà, la preoccupazione diventa paranoia e la nostra funzione di accompagnare i piccoli all’incontro con il mondo e con il covid va in tilt.
– La paura ci può far regredire, “ce la si fa sotto dalla paura”: si torna piccolini, bisognosi di cure e di rassicurazione. Bion parlerebbe di “assunto di base di dipendenza”. Ci si mette nelle mani di Dio, ci si attiene, si fanno le cose comandate, non si fanno le cose proibite, si ubbidisce, si confida che l’altro, Dio, il Ministro, Il Dirigente Scolastico, ci pensi. Sicuramente questo ci fa evitare di più lo stato ansioso connesso alla paura, ma di nuovo così mi è impossibile poter svolgere il ruolo di docente e educatore, che richiede non regressione a uno stato di dipendenza, ma attivazione di uno stato mentale adulto di responsabilità.
– La paura si può negare “non c’è niente di cui aver paura”, anche questo è un meccanismo di difesa che esasperato non ci aiuta per niente, pensiamo al negazionismo.
– La paura ci può far morire: “avere una paura da morire”, “morire di paura”. Ci blocca, ci paralizza, ci può impedire di procedere, di progettare, di desiderare. La paura balla il suo ballo con la depressione, che forse è anche peggio che sostenere l’ansia. L’esperienza di vuoto è terrificante. Molto si è detto parlando di lockdown di quanto, dopo una iniziale euforia da vacanza prolungata, si sia passati alla depressione, alla noia connessa al vuoto e alla perdita della quotidianità. Cosa succede a noi adulti se invece che gestire la paura ne moriamo? Se come singoli o come istituzioni smettiamo di pre- occuparci, di attivare competenze, pensieri, progetti?
Quando la paura dilaga, con tutte le sue derive, è difficile da ascoltare e da pensare, anche per il mondo della scuola, che è entrato in un vortice di cose da fare, di decreti da rincorrere, senza darsi il tempo per pensare.
Il tempo del “fiato sospeso” e della paura è diventato spesso il tempo della sospensione della didattica e del dictat “dobbiamo stare bene insieme”. Ma noi sappiamo che una classe per funzionare bene ha bisogno non dio “stare” ma di procedere verso un obiettivo comune.
La scuola pensa ai suoi studenti come reduci dal trauma del lock-down e mette tutti a regime di massima protezione, rischiando di nuovo di imbrigliarsi nel primato della relazione intesa come stare, che fa il paio con la paura che paralizza e impedisce di pensare, di avere uno sguardo prospettico, di accompagnare al futuro e di procedere nel percorso di insegnamento-apprendimento.
La paura fa paura e ci fa stare male, ma è un’”emozione fondamentale”.
Innanzitutto, quindi, è ineliminabile e, visto che c’è, dobbiamo “tenercela”; nel senso di “tenerla dentro”, contenerla, che è condizione necessaria per poterla riconoscere e gestire, altrimenti, come abbiamo visto, ci sfugge e ci fa diventare matti, depressi, esaltati, ci fa regredire.
Inoltre, il fatto che sia un’ “emozione fondamentale”, ci ricorda che la paura c’è perché serve.
C’è invece la tendenza a demonizzare la paura (come la rabbia). E’ certo che si tratta di un’emozione a cui sono associate sensazioni di disagio, stato di agitazione interna, di allerta, di pericolo. E’ certo che la paura non è la felicità, ma non per questo la paura non fa bene, anzi, la paura è parte del benessere psicologico, è uno strumento di resilienza e di adattamento alla realtà.
– La paura ci mette in allerta, ci segnala un pericolo, ci fa stare più attenti, ci pre-occupa, cioè fa in modo che possiamo prepararci
– La paura serve a motivare e stimolare le persone a reagire alle situazioni spiacevoli
– La paura di eventi come la pandemia, crea un senso di appartenenza , crea senso di solidarietà, fa in modo che si pensino degli assetti collettivi che proteggano dal pericolo
La paura fa male quando da stato di allerta e di preoccupazione rispetto ad un pericolo, diventa uno stato di ansia diffuso e permanente, pervade in modo pesante la quotidianità. La paura fa male, non è più utile all’adattamento, quando perde i contorni dell’oggetto reale e si diffonde, quando ci impedisce un corretto esame di realtà, un corretto giudizio, quando influisce sul controllo degli impulsi e della rabbia, quando attacca la nostra autostima e diventa stato depressivo, quando attacca la nostra autonomia.
Questo è vero per i singoli, adulti e piccoli, è vero per i gruppi e per le istituzioni, è vero per la scuola.
Alessandra Crispino
psicologa- psicoterapeuta
Centro di psicologia Ulisse