In un articolo pubblicato sul quotidiano “La Stampa” di qualche giorno fa sono riportate delle interviste ad alcuni maturandi delle scuole superiori. Giulia, una ragazza interpellata a proposito dell’esame di stato dice che lo ha sempre immaginato come una cena, un dibattito dove dici quello che sai. Lei ha studiato tanto, dato il tempo a disposizione in quarantena, ma ha un unico grande rammarico: “Non aver avuto un ultimo giorno di scuola, non aver visto i compagni”. “Me lo porterò dentro come un’esperienza spezzata”, aggiunge. Un’esperienza spezzata rischia di essere la fine di questo anno scolastico in corso non solo per i maturandi, ma per tutti i bambini e ragazzi delle ultime classi dei singoli cicli, l’ultimo anno della scuola dell’infanzia, la quinta elementare, la terza media. Studenti di diverse età che si trovano a vivere, o forse sarebbe meglio dire a non vivere pienamente, un momento di passaggio che a giugno vedrà la fine di un’esperienza e a settembre l’inizio di un nuovo capitolo della loro vita, in una scuola diversa, con maestre e compagni diversi, diverso ambiente, regole e impegni.
Il termine passaggio rimanda ad un movimento verso qualcosa, un cambiamento di stato, non privo di momenti di crisi, dato che questo tipo di esperienze comporta una ridefinizione di sé, della propria identità. Basti pensare a quanto sia stressante per noi adulti affrontare un trasloco, la nascita di un figlio o l’inizio di un nuovo lavoro. L’attenzione ai momenti di passaggio, spesso scanditi per bambini e ragazzi dai tempi imposti dalla scuola, caratterizza da sempre il lavoro del Centro di Psicologia Ulisse, poiché, anche i più piccoli possono trovarsi a dover affrontare certe criticità, un insieme di emozioni “spezzate”. Soprattutto nel periodo storico che stiamo vivendo ci sembra importante richiamare l’attenzione su come stanno bambini e ragazzi, dal momento che la problematica del Coronavirus ha già creato paure, rabbie, ansie, tristezze e conseguenze rilevanti sulla psiche di grandi e piccini. L’esperienza della quarantena improvvisa e forzata ha costretto gli alunni a vivere lunghe settimane, ormai mesi, senza poter incontrare i propri compagni e insegnanti, poterli riabbracciare, sentire le loro voci. Hanno dovuto procedere senza la routine scolastica, fatta di impegni ma anche di gioco, di socializzazione, con tutte le gioie e le richieste che la vita di classe comportava. Mesi trascorsi chiusi in casa con la famiglia, spesso con grandi dosi di conflittualità, e la possibilità di vedere gli altri solo attraverso uno schermo, classe compresa, grazie alla didattica a distanza. Gli insegnanti hanno cercato, non senza momenti di sconforto, di portare avanti i programmi, giocando in trasferta ed entrando nelle case dei propri alunni, interagendo per forza di cose anche con i genitori al fine di assicurare una certa continuità. In un momento di ansia e forse anche di improvvisazione generale, dato che non sempre ci sono state direttive chiare e spesso la DAD è stata affidata al buon senso e alla disponibilità dei singoli docenti, l’attenzione si è focalizzata sul fare: cosa, come, quanto far fare ai ragazzi, per recuperare il tempo che sembrava essersi fermato, per distrarli e forse anche distrarsi un po’ da ciò che stava succedendo.
La scuola, però, non è soltanto didattica, ma è relazione e socializzazione. Se è vero che c’è un “rischio infettivo”, anche se nei minori il Coronavirus sembra avere forme più lievi, altrettanto esiste un “rischio affettivo” con compromissioni a livello emotivo, cognitivo e relazionale non facilmente recuperabili.
Ora che l’estate si avvicina, è il quesito “cosa si farà a settembre?” che cattura maggiormente l’attenzione di genitori e insegnanti e purtroppo, per ora, non ci sono grandi risposte sulle precise modalità in cui si svolgeranno le lezioni nel prossimo anno. Tuttavia, prima dell’inizio del prossimo anno vi è la conclusione di questo, che rappresenta un momento delicato da affrontare per gli alunni di tutte le età e che quindi già richiede, agli adulti che fanno loro da riferimento, di prestare la giusta attenzione ai vissuti inerenti la chiusura di un percorso e alle emozioni che accompagnano quella che è un’esperienza di separazione.
Tutte le fasi di passaggio, infatti, vedono bambini e ragazzi protagonisti di una riorganizzazione del loro futuro e di sentimenti anche contraddittori, ma situazioni problematiche come quella che stiamo vivendo rischiano di mettere in scacco la possibilità di pensare e potersi immaginare le novità a cui si va incontro. Possono esserci aspetti ambivalenti da affrontare: l’aspettativa e la curiosità per il nuovo che ci attende e la nostalgia, il vuoto lasciato dalla perdita di ciò a cui eravamo legati; la voglia di crescere, di emanciparsi da qualcosa che è ormai ci va stretto e la paura di diventare grandi e di non riuscire ad adattarsi a nuovi assetti, nuove relazioni, nuove regole, nuove richieste, un nuovo gruppo. A scuola si creano legami, rapporti, familiarità che durano anni e lasciarsi tutto alle spalle può rappresentare una perdita molto forte. Quando si parla di cambiamento si pensa facilmente ad una spinta entusiasmante verso il nuovo, a rassicurare i bimbi con un “andrà tutto bene”, “sarà divertentissimo”, ma c’è una componente luttuosa non trascurabile, legata a questa perdita e una ansiosa, di fronte all’incertezza di ciò che accadrà, all’ignoto, difficilmente rappresentabile. Negli ultimi mesi tutti, chi più chi meno, hanno avuto la sensazione di aver perso qualcosa a causa della pandemia e questo forse complica le cose. Tuttavia, anche se la morte e la perdita sono argomenti che si preferisce evitare con i bambini, la negazione di vissuti così profondi può sfociare in comportamenti esplosivi o regressivi oppure in un appiattimento emotivo o un iper- adeguamento alle aspettative degli adulti.
Bambini e ragazzi, quindi, si trovano alle prese con una sfida evolutiva, che prevede il dover affrontare quella che la psicologia chiama una “elaborazione del lutto”. Per farlo hanno, ora più che mai, bisogno del sostegno degli adulti di riferimento, genitori e insegnanti, come contenitori di questo ingorgo affettivo, delle paure, delle rabbie e dei fantasmi che caratterizzano questo momento, per infondere un maggior senso di controllo rispetto al futuro e attenuare il disagio del distacco, in parte già avvenuto come uno strappo improvviso dalla loro quotidianità. Quelle online sono relazioni senza: l’appartenenza fisica ad un gruppo è scomparsa, evaporata.
Gli studenti, soprattutto quelli dell’ultimo anno del ciclo, non potranno recitare nell’ultimo spettacolo di classe o mangiare chiassosamente tutti insieme la pizza di fine anno con maestre e compagni. Non potranno stupirsi della lacrimuccia dell’insegnante, dire grazie, abbracciarsi. Tutto ciò è indubbiamente insostituibile, non rimpiazzabile nemmeno con le più avanzate tecnologie, ma è forse possibile ricreare un’atmosfera, regalare loro un momento di saluto e di appartenenza.
Sarebbe importante concedere loro uno spazio per poter essere in contatto e poter dare un nome a questi vissuti ambivalenti. Senza grandi pretese, con leggerezza e nella consapevolezza dei limiti che la situazione impone, si potrebbe creare l’occasione per dire loro che i docenti li penseranno, per ritualizzare la fine dell’anno e il compimento del percorso svolto insieme, per poter accedere ai ricordi, piacevoli e spiacevoli, insieme a tutta la classe. Sarebbe utile pianificare per tempo e organizzare qualche iniziativa strutturata, magari con la partecipazione attiva da parte di tutti i componenti della classe (la creazione di un disegno, una canzone, un racconto in cui ognuno porta un pezzetto di sé, ad esempio), per dare modo a bambini e ragazzi di non negare le proprie emozioni. Ascoltarli senza pensare di potersi sostituire a loro nell’affrontare i loro vissuti, bonificando, rassicurando a tutti i costi, ma aiutandoli a non sentirsi soli a fare i conti con un vuoto dentro non elaborabile, con i loro mostri. Ai docenti spetta, dunque, il compito di agevolare il distacco del gruppo classe, infondendo speranza per facilitare il passaggio ad un’altra dimensione, facendosi garanti, seppur a distanza e in una fase così delicata, del contenimento e della solidità che fanno della scuola un punto di riferimento stabile nella vita dei loro alunni. Non sarà come la pizzata di classe al ristorante, ma rimarrà nei loro studenti l’intenzione, il gesto, l’emozione, il ricordo.
Allo stesso modo i genitori possono avere un ruolo fondamentale nell’accompagnare, osservare, dare la giusta attenzione e rendersi disponibili ad ascoltare cosa raccontano i propri figli e cosa succede loro in un momento di separazione che stavolta rischia di essere particolarmente delicato. La fine di quest’anno scolastico non sancirà solo il passaggio da un istituto ad un altro ma un momento critico per adulti e piccini e sarà necessario tener presente che un momento di crisi, anche se gestito con delicatezza e con tutti gli accorgimenti, può portare comunque a momentanee regressioni. La maggior parte delle volte, bisogna solo farsi da parte e osservare con fiducia i propri figli: anche se sembrano tornare indietro, lo stanno facendo solo per prendere la rincorsa.
Bisognerebbe, infine, coordinarsi tra adulti, insegnanti e genitori, rimanendo quanto più coerenti e rispettosi dei ruoli, delle competenze e delle funzioni educative di ognuno. Se i grandi non proietteranno su di loro le proprie ansie e le proprie tensioni, gli studenti si sentiranno più al sicuro, soprattutto i piccoli alunni della scuola dell’infanzia e della primaria, per i quali i conflitti tra adulti e le separazioni non simbolizzate possono dar luogo a vissuti di colpa e abbandono. Quello di una pandemia globale è un grande e inedito evento per tutti noi, ma a rendere traumatica un’esperienza è anche la mancanza di un “testimone empatico”. Ogden, famoso psicoanalista, scrive che il trauma non è altro che un’esperienza che rimane come impensabile nella nostra mente: compito degli adulti è rimanere saldi e aiutare bambini e ragazzi a pensare i pensieri, a sognare i sogni, come compagni di viaggio esperti.
Mariangela Caputo, Psicologa clinica
Centro di Psicologia Ulisse