È passato più di un mese dall’inizio della quarantena. La maggior parte di noi sta rivivendo la stessa giornata all’infinito, senza altra scelta che concentrarsi su noi stessi, chi siamo, dove siamo, con chi siamo e cosa facciamo della nostra vita. “E se non ci fosse un domani? Oggi non c’è stato” dice Phil Connors, protagonista del film Ricomincio da capo; viviamo ancora e ancora il giorno della marmotta. La nostra routine è stata spazzata via per lasciare spazio ad una nuova routine, tutta da costruire. Piano piano impariamo che la natura e l’angoscia di morte sono più forti del senso di onnipotenza dell’uomo e come un livella riportano tutti uguali, piccoli e fragili; lontani da individualismi, ego, successi e bulimia di consumo. Impariamo a interiorizzare il valore del tempo, delle piccole cose, dell’incertezza del futuro e della noia, dimensione quest’ultima che distorce la percezione di sé e del mondo, rendendo le altre emozioni attutite, ferme, senza spinta vitale. Ci troviamo in uno stato di sospensione fisica e mentale dove tutto sembra in pausa.
Ognuno si trova ad affrontare ostacoli quotidiani e nel suo piccolo si vede costretto a ricostruire una routine dotata di senso e di piccoli ma fondamentali gesti che danno sicurezza. È proprio qui che entra in gioco la nostra capacità di coping, di fare fronte alla situazione e reagire ai momenti difficili. Quando veniamo fortemente messi alla prova, come il Coronavirus sta facendo, reagiamo in maniera automatica con modalità e strategie differenti.
Ma cosa significa veramente mettere in atto una strategia di coping? È il nostro sforzo di contenere le reazioni emozionali negative, magari distanziando il problema, distraendoci e cercando di occupare al massimo il nostro tempo o attraverso l’autocontrollo, se non ancora con l’assunzione di responsabilità. Possiamo così renderci parte attiva nel rispettare le regole che ci vengono imposte e contribuire nel nostro piccolo limitando i contatti sociali. Ciò che più di tutto mettiamo in atto in queste strategie, è il sostegno sociale. Quando ci sentiamo minacciati da un agente esterno, ricerchiamo sostegno e appoggio nella comunità e negli altri; Instagram e Facebook si riempiono di dirette di personaggi famosi e persone comuni che provano a cimentarsi in qualcosa di nuovo, sempre in condivisione, sempre in comunicazione, stabilendo legami. Ché se non possono essere reali, sono sicuramente virtuali.
C’è chi ci riesce e chi meno, chi ha una personalità costellata di caratteristiche definite con il concetto di hardliness, che ha la convinzione di poter influenzare gli eventi della propria vita e si impegna nello svolgimento di attività per mantenere i rapporti, sempre con ottimismo, perseverando anche nelle situazioni di difficoltà. Ma c’è anche chi invece questa propensione non ce l’ha e quindi percepirà livelli più bassi di sostegno reciproco, oltre ad una fatica maggiore nel gestire le emozioni e questo evento stressante.
Ciò che è sicuro è che tutti in un modo o nell’altro ci proviamo, a stare meglio. E questo per la nostra salute è fondamentale. L’isolamento diventa sempre più difficile da sopportare, così come la separazione dai cari, la perdita della libertà personale, l’incertezza; tutti possiamo avere dei momenti no, bisogno di confronto, conforto e sostegno per gestire meglio le emozioni, ma questo non fa di noi dei deboli. Ma solo umani.
Giulia Puzzo
Tirocinante psicologa presso Centro di Psicologia Ulisse