Mi è capitato spesso in queste settimane di ascoltare ragazzi e ragazze in sportelli di ascolto che per l’emergenza si sono trasformati in servizi di consulenza online, un osservatorio privilegiato sugli adolescenti in questo momento di sospensione della vita scolastica “normale”.
Uno dei dati più evidenti è che rispetto al pericolo del coronavirus dicono di non essere preoccupati per sé: “sono giovane, sto bene, non mi sento preoccupato per la mia salute, so che per me questo virus non è un pericolo”. E aggiungono che il loro rimanere a casa è un atto di solidarietà: “non lo faccio per me, lo faccio per le persone più fragili e per i più anziani…per i miei nonni, per loro lo faccio, ho paura per i miei nonni”.
C’è qualcosa di eroico nel modo di vivere questo momento: trovarsi di fronte ad una sfida epocale, la forza onnipotente della giovinezza, il farsi carico della fragilità (degli altri).
E l’atto di forza dell’eroe adesso non è un atto di rottura delle regole e dei patti generazionali, anzi. Stando all’interno delle regole e facendosi loro stessi i primi protettori dei loro nonni, il loro atto di forza consiste nel sacrificio.
Il sacrificio di non uscire, di non guardarsi, di non baciarsi e abbracciarsi, di non fare l’amore e di non fare festa, il sacrificio di non fare il “vero”esame di maturità, di essere promossi o bocciati per merito.
La logica è quella dell’adolescente che vive nel qui ed ora della sperimentazione e della scoperta, come deve essere.
Non sanno molto delle paure del mondo degli adulti, che invece devono guardare avanti e hanno paura del futuro. Loro e dei loro figli.
Alessandra Crispino
psicologa- psicoterapeuta
Centro di psicologia Ulisse