Da qualche tempo ci troviamo tutti, o quasi, in isolamento sociale forzato. Nonostante le difficoltà, sempre più persone si stanno adattando a questa nuova dimensione, trovandola per certi versi piacevole. In alcuni genitori potrebbe essere emersa la domanda: mio figlio rischia di diventare Hikikomori?
Il senso comune vede l’isolamento dell’Hikikomori come la causa della sua sofferenza, ma in realtà questo è il sintomo, l’evidenza, la conseguenza di qualcos’altro. Ben prima di essere isolato fisicamente, infatti, il ragazzo è isolato psicologicamente. Pur entrando in contatto con altre persone riscontra numerose difficoltà nell’instaurare relazioni qualitativamente buone e, di conseguenza, sperimenta una profonda solitudine. Gli studi hanno mostrato che si tratta di ragazzi particolarmente brillanti, con uno sviluppo cognitivo notevole. Viceversa, il loro sviluppo emotivo mostra numerose carenze e da qui nasce la difficoltà nelle relazioni. In sintesi potremmo dire che l’hikikomori non si sente solo perché si isola, ma si isola perché si sente solo.
L’incomprensione è presente anche all’interno delle stesse famiglie, il cui unico interesse sembra essere quello che il figlio esca di casa e che non perda l’anno scolastico. Questo atteggiamento emerge in particolare in questo periodo di quarantena, in cui le richieste d’aiuto da parte delle famiglie sono notevolmente diminuite. Anche se non si può più uscire di casa, questo non significa che non si possa lavorare comunque in un’ottica di miglioramento (con l’aiuto dei professionisti e attraverso gli strumenti digitali).
Tornando alla domanda iniziale, i nostri figli sono esposti al rischio di diventare Hikikomori? A meno che non condividano la stessa sofferenza iniziale, la risposta è no. Un ulteriore rassicurazione arriva dagli studi svolti in passato sulle quarantene, che mostrano come un maggiore adattamento durante la quarantena è predittivo di maggiore benessere alla fine dell’isolamento.
Di Carla Rundeddu