Oggi, 13 marzo 2018, Il Centro di Psicologia Ulisse è sulla Stampa di Torino, attraverso le parole del suo direttore Mauro Martinasso. Intervista a cura di Maria Teresa Martinengo.
«Di questi tempi, il bullismo porta a credere che i malesseri degli adolescenti siano sempre legati a cause esterne. Invece dovremmo ricordare che in ogni individuo c’è anche una vita interiore. Nella sua vita interiore Michele doveva fare i conti con la sua invalidità, con la consapevolezza di non poter fare tutto ciò che gli altri suoi coetanei possono fare. E questo in una fase delicata della vita come l’adolescenza». Mauro Martinasso, psicologo e psicoterapeuta, esperto in Psicologia scolastica, presidente del Centro Ulisse, non aveva mai conosciuto Michele. Ma di fragilità assimilabili a quella del diciassettenne di Rivoli, ne ha incontrate e studiate tante.
«Quando si è nell’adolescenza ci si confronta con gli altri, con l’altro sesso. Nel mondo degli adolescenti le diversità si scoprono fardelli pesantissimi da portare, gli altri spesso le sottolineano», prosegue lo psicologo. I buoni esiti scolastici? «Andare bene a scuola è indicatore di parziale benessere. Il gesto estremo di togliersi la vita è segno che Michele non aveva elaborato fino in fondo il lutto della sua diversità, la percezione profonda di ciò che non si riesce a fare».
Il dottor Martinasso ribadisce che «l’adolescente fonda la costruzione della propria identità adulta sulla comparazione». In quel tempo, ipotizza lo psicologo, «Michele ha dovuto fare i conti con un sovraccarico. Questo al netto di eventuali episodi o situazioni di discriminazione che non conosciamo. È un’idea un po’ ingenua pensare che se più o meno riesco a fare ciò che fanno gli altri, allora sto bene».
Dalle lettere scritte da Michele, questo aspetto emerge con prepotenza. Il mondo intorno non sapeva vedere il carico di dolore con cui lui doveva convivere, il suo desiderio di attenzione, di amicizia lo gridava sulla carta, ma nella quotidianità non riusciva ad esprimersi. «Gli adulti dovrebbero sempre avere in mente che dentro questi ragazzi c’è una grandissima dose di sofferenza con la quale devono convivere in quel lungo momento di grande inquietudine che è appunto l’adolescenza». L’insegnante di sostegno non avrà captato nulla? «L’insegnante può fare molto, ma non è uno psicologo, non ha competenze specifiche per intercettare i casi di disagio più profondo. Poi, i ragazzi sono bravi a nascondere i loro sentimenti. Che poi deflagrano». C’è qualcosa che lo psicologo raccomanda: «Evitare di cercare il colpevole ad ogni costo».