𝐴𝑙𝑒𝑠𝑠𝑎𝑛𝑑𝑟𝑎 𝐶𝑟𝑖𝑠𝑝𝑖𝑛𝑜 – 𝑃𝑠𝑖𝑐𝑜𝑡𝑒𝑟𝑎𝑝𝑒𝑢𝑡𝑎
La scuola da tempo ormai si sta attrezzando per rispondere alle esigenze didattiche di bambini e ragazzi a cui è stato diagnosticato un Disturbo dell’Apprendimento.
Tendenzialmente si sa che dietro la diagnosi c’è una sofferenza, lo si dà per scontato e, come spesso succede quando trattiamo le cose come ovvie, ci troviamo davanti ad un non detto che urla.
I bambini e i ragazzi che intercettiamo durante le attività cliniche e negli sportelli di ascolto, portano il dolore di essere diversi e chiedono il segreto: che i grandi non sappiano quanto ci stanno male, che non si preoccupino ancora a causa loro. Il loro dolore è legato alla colpa, alla vergogna, all’inadeguatezza. Si sentono in colpa perché vedono i genitori affannarsi e disperarsi per i loro problemi, provano vergogna al cospetto dei coetanei e si sentono “rotti”. E questo spesso diventa il loro grande segreto.
Come insegna Simone Sausse in Specchi infranti, il dolore dell’essere diversi è una dimensione irreparabile.
Alla dimensione dolorosa della diversità il mondo degli adulti reagisce negandola: il linguaggio politicamente corretto prova a togliere con le parole il dolore legato al sentirsi diversi e si parla per esempio di “diversamente abili” e “alunni speciali”.
Non è facile rimanere sintonizzati con la sofferenza. Come posso essere d’aiuto, insegnare, guardare avanti se so che c’è sofferenza per un problema che non si può risolvere? Rischio di paralizzarmi: guardo il dolore negli occhi e, come nel mito di Medusa, rimango inerte, impotente.
Allora può succedere che si entri dentro un vortice di cose da fare, di procedure da seguire, di strumenti da applicare, rischiando di lasciare soli i bambini e i ragazzi con il loro grande segreto inconfessabile.